Parigi. Ordino un “cafè creme et pain au chocolat” al “Cafè Otheque”, in una di quelle mattine piovose, confuse tra ombrelli aperti e vetrine grigio-cielo che si creano, come specchi naturali, sull’asfalto.
Vedo riflessa una persona mentre cammina disinvolta: la sua età non conta, scivola via insieme alla pioggia. Due piccoli levrieri, la affiancano come ombre leggere, in una camminata sincrona, spontaneamente unite dall’innata grazia. Dotate di quell’eleganza senza tempo che le esula naturalmente dal resto, in una superiorità senza confronto. Quando dal passo di una persona ne immagini la vita, a volte riesci perfino ad identificarne la casa, ad innalzarne i muri e ricrearvi uno stile. Così, mi ritrovo improvvisamente a Cap Ferrat, in una punta astratta della costa azzurra, sulle sponde rocciose di un mare prezioso, in un paesaggio che sembra ancora incontaminato, mentre sotto un ramo, inaspettato e nascosto, compare il patinato paesaggio di Montecarlo. Da quel gioco sapientemente affascinante di contrasti e sorprese, compongo, nella mente, un modello immateriale di abitazione lineare, tuttavia, caratteristica, adatta ad inserirsi in quel paesaggio, cosciente ma inviolato, della riviera francese.
Mi riavvicino a quella visione a Milano, durante la presentazione di Hermès maison per il FuoriSalone 2017, grazie alla direzione artistica di Charlotte Macaux Perelman e Alex Fabry.
La rivisitazione della casa mediterranea, bianca in mattone umbro e calce bianca, incastonata nell’edificio la Pelota che, trasformato in un portagioie fuori scala, la custodisce.
Una casa labirinto capace di accoglierti, con viste diverse e continui effetti sorpresa, e condurti attraverso l’interpretazione charmant di un mondo equestre, con cui nasce Hermès nel 1837, tradotto però in quotidianità. La briglia di cuoio e ottone palladiato, abbandona la scuderia e si converte in appendiabiti, pronto a sostenere i capispalla all’ingresso. Un’apribile cabinet sostituisce la classica armadiatura e si presta a contenere carré, sete e accessori, così affine ad un antico baule da viaggio, da invogliare a chiuderla e partire. L’innovazione è interpretata con la linea “Karumi” firmata Alvaro Siza, dove sgabelli e panche si fanno vessilli di leggerezza e resistenza, attraverso la calibrata combinazione tra fibre di carbonio e bambù. Sorprendente la riscoperta del serving trolley in declinazione chic creato con legno d’acero, vimini, pelle calf e ottone. Dal brunch al tea pomeridiano, la fantasia delle cravatte diventa protagonista sulle porcellane Tie-set, nate per assemblarsi, mescolarsi e ricrearsi come in un look accortamente mix&match. Immancabili i classici, ma distintivi ed iconici, plaid in cachemire e seta, da poggiare, volutamente scomposti, sul sofa sellier, disinvolti come sciarpe avvolte attorno al collo.
Si ritorna poi, ancora una volta, al sogno con la carta da parati Mille Jeux, disegnata da Gianpaolo Pagni che, con la sua forza espressiva e la geometria a ripetizione, concede di riprendere la fantasia dei cromatismi della mente, nella narrazione di un ludico rigore che contraddistingue Hermès: lo stupore, senza tempo, della ricercata discrezione.
Esco dal pavillon, il sole splende su Brera. Mi siedo allo storico bar Jamaica e mentre ordino “un espresso” ritrovo il mio ricordo, ma ora vedo chiaro il riflesso di quella casa bianca sul mare turchese della costa azzurra.