Osservo, posata sulle colline, la neve. Pacata, nel riflettere un sole malato, mi ruba lo sguardo abbagliato e me lo restituisce innocente. È la figurazione materica del silenzio: un manto bianco che ricopre gli spazi e attutisce i rumori. Punto per punto, alla maniera di un pennello tra le mani di Seurat, dipinge di fresco un paesaggio, uniformando i colori ma evidenziando i volumi e, come cotone sulle ferite, refrigera, tampona e purifica mentre riconsegna, alla vista, una nuova realtà.
Ed è proprio su questa tela monocromatica che mi si rende evidente un raro e naturale colore: intravedo, arrampicato su un muro, un gelsomino invernale, sospeso accanto ad un candelotto di ghiaccio, come un fiore di vetro soffiato in una lumiera liberty; sembra vestito intenzionalmente, per il periodo del gelo, nelle tonalità gialle e fredde, come a volersi distinguere e risaltare, tra il bianco etereo della neve. Si crede, forse, come il sole, che fa capolino, nelle brevi giornate di fine febbraio, tra nubi basse e nebbia, mentre una mano cerca di imprigionarne un raggio, per sentirne il calore. Perché in ogni cosa, l’uomo cerca; ha bisogno di luce, di sole, di catturare riflessi; di rincorrere l’energia che il colore e il non colore riescono insieme a stimolare. Giallo e bianco, unitamente; come sfumature di un bagliore, capaci di spaziare, in intensità, carattere e tono, per riuscire ad essere, ogni volta, nuovo linguaggio di espressione. Su questo nitore, come su un foglio ghiacciato, immagino animarsi le invenzioni fantasiose di Munari: le sue Cappuccetto Bianco e Giallo che si incontrano saltellando, nell’intreccio di una via, nel bivio di una scelta, nella libertà di poter sempre cambiare una storia, rendendo propria l’interpretazione del vivere. L’ambiente esterno, naturale, diviene ispirazione, per poter riportare queste percezioni, all’interno della propria casa. Un rifugio, dove, le pareti candidamente ridipinte, in maniera ecologica, emulano la neve, mentre un lampadario Sputnik, direttamente dagli anni sessanta come un satellite dal cielo, le illumina, con i suoi arti estesi quali raggi rubati al sole, finché si scioglie solo il cuore di chi vi abita.
Guardo ancora quel gelsomino incastonato che, preludio di primavera, di speranza e di chiarore, si protende a volermi ricordare, l’imminente fioritura della sua sorella mimosa. Quest’ultimo fiore, simbolo della donna, della sua festa nel giorno dell’otto di marzo, insieme alla parvenza di quei tondi e profumati boccioli paglierini, ricompone, nella mia mente, le pareti canarine del soggiorno nella dimora residenziale di Monet, a Giverny, dove le mura del tinello dipinte di giallo, abbracciano e scaldano, come una madre, il bianco soffitto che, nell’illusione ottica d’una rifrazione, finge di essere avorio. Quale stanza potrebbe essere miglior allegoria della donna, sovrana della casa, della convivialità, dell’accoglienza, se non un famigliare e luminoso tinello? Luogo di incontro e di riunione, di pasti consumati lenti o veloci, di ordine disperso e profumi, di passaggi e di sosta, ma soprattutto, di certezza e benessere. E proprio su quest’ultima definizione, legata alla massima aspirazione del vivere bene e consapevole, penso ad Oikos che, durante il Made 2017, ha dedicato uno spazio tematico alla donna e al colore giallo, per portare alto il messaggio di integrazione tra una pittura non solo d’arredo, ma anche e soprattutto sostenibile, in un matrimonio perfetto tra varietà di cromie e sensibilizzazione verso il rispetto ambientale.
Ritorno sui miei passi e, nel tempo in cui ricalco le mie impronte, mi trovo a fissare ancora una volta la neve e a meditare sul perché si presenti così bianca, pur nascendo dall’incastro di infinite trasparenze, dalla luce che ne colpisce i cristalli in un gioco di passaggi; dall’uno all’altro, nella devianza di un raggio, fino a riemergere e riconsegnarsi ai nostri occhi quasi fosse latte. Come le 187 sfumature del bianco Oikos. Quante sfaccettature, quanti difficoltosi comportamenti mascherati. Si manifesta esattamente come una donna; esternamente una ma dentro, nascoste nell’anima, tante altre.